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Medici Senza Frontiere ha presentato un rapporto che descrive le condizioni di salute, vita e lavoro degli stranieri impiegati in agricoltura nelle regioni del Sud Italia. Senza contratti, protezioni e acqua: il terzo mondo è sotto casa nostra.
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Una stagione all’inferno: sfruttamento e condizioni di vita dei lavoratori stranieri in Italia
Medici Senza Frontiere ha presentato un rapporto che descrive le condizioni di salute, vita e lavoro degli stranieri impiegati in agricoltura nelle regioni del Sud Italia. Senza contratti, protezioni e acqua: il terzo mondo è sotto casa nostra.
Medici Senza Frontiere
(MSF), un'organizzazione internazionale privata nata per offrire
soccorso sanitario alle popolazioni in pericolo e testimoniare delle
violazioni dei diritti umani, ha presentato pochi giorni fa il rapporto “Una stagione all’inferno”, sulle condizioni degli stranieri impiegati in agricoltura nelle regioni del Sud Italia.
Il titolo è, già di per sé, molto
significativo e vuole rendere l'idea di quello che ogni anno migliaia di
stranieri si trovano a vivere nelle campagne del Sud quando si spostano
da una regione all'altra per essere impiegati come stagionali: pur di
lavorare queste persone “accettano paghe da fame e sono costrette a
condizioni di povertà estrema ed esclusione”.
Già nel 2004 questa organizzazione aveva
portato assistenza sanitaria agli stranieri impiegati nelle nostre
campagne testimoniandone le vergognose condizioni di vita. Ma non era
bastato.
Nel 2007, allora, un’equipe mobile di MSF è tornata nelle campagne del Sud e ha visitato e intervistato oltre 600 stranieri.
Passiamo ai dati.
Gli intervistati sono per lo più uomini
(97%) di età compresa tra i 20 e i 40 anni (84%) e arrivano in grande
maggioranza dai paesi dell'Africa sub-sahariana (Sudan, Eritrea,
Etiopia, Ghana, Camerun, Costa d'Avorio,…) o dai paesi del Maghreb
(Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto). Per quanto riguarda i pochi
stranieri provenienti dai paesi dell'Unione Europea, il campione
intervistato (5%) si riferisce unicamente a cittadini bulgari e rumeni
di etnia rom.
Il 90% degli intervistati non ha alcun contratto di lavoro, il
65% di essi vive in strutture abbandonate, il 62% non dispone di
servizi igienici nel luogo in cui vive e il 64% non ha accesso all'acqua
corrente e deve coprire notevoli distanze per raggiungere il punto d'acqua più vicino.
Gli stagionali lavorano poi in condizioni
di vero e proprio sfruttamento: “scarsamente pagati, vessati da
intermediari e datori di lavoro, non godono di alcuna tutela sindacale e
operano totalmente al di fuori delle norme di prevenzione e sicurezza
sui luoghi di lavoro previste dalla legge”.
Se il 95.2% dichiara di usare guanti,
nella “maggioranza dei casi si tratta di semplici guanti da cucina,
inefficaci per contrastare l'esposizione cutanea ad agenti tossici”.
I pochi dispositivi di protezione
utilizzati sono, nel 97% dei casi, comprati dallo stesso lavoratore: ad
esempio gli stivali da lavoro (usati dal 20%) o la mascherina (8,2%).
“Gli operatori MSF hanno inoltre
riscontrato che, tra i lavoratori, la maggior parte non cambia e non
lava gli abiti da lavoro dopo la giornata nei campi o nelle serre”, né
rispetta i tempi di rientro in serra dopo l'esposizione a fitofarmaci e
pesticidi.
Tempi di lavoro e pause? In media
gli immigrati stagionali lavorano meno di 4 giorni a settimana (67% dei
casi) e una giornata può durare da 8 a 10 ore. Il compenso va dai 26 ai
40 euro nella maggior parte dei casi, ma un terzo degli intervistati
dichiara di guadagnare ancora meno.
In condizioni di lavoro e vita come queste è molto facile ammalarsi.
Le patologie più diffuse sono quelle
osteomuscolari (22%), come lombalgie e lombosciatalgie, probabilmente
dovute al continuo sollevamento di pesi e al mantenimento di posture
fisse per lungo tempo.
Diffuse sono anche le malattie
dermatologiche, respiratorie e gastroenteriche, spesso dipendenti dalle
precarie situazioni igienico sanitarie.
Se nel 72% degli intervistati le visite
dei medici di MSF hanno riscontrato un sospetto diagnostico (il 73% di
questi sospetti è risultato essere una malattia cronica), la gran
maggioranza afferma di essere arrivata in Italia in buone condizioni di
salute.
Dopo le denuncie di MSF del 2004 si può
constatare che, a distanza di tre anni, quasi nulla è cambiato. Se da
un lato si sono registrate nuove “misure di contenimento del fenomeno
migratorio con politiche dal pugno di ferro tese a combattere la
clandestinità a difesa della legalità”, ci si è tappati “occhi, orecchie
e bocche dinanzi al massiccio sfruttamento di stranieri nelle
produzioni agricole del Meridione perché necessari al sostentamento
delle economie locali”.
Speriamo che questa ulteriore denuncia, ricca di dati e analisi, possa portare nel prossimo futuro a iniziative di prevenzione
e a un repentino atto di responsabilità delle istituzioni locali e
nazionali, affinché venga tutelato il diritto alla salute e il rispetto
della dignità umana di tutti i lavoratori, senza esclusione alcuna.
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